Uso questa metafora da alpino un po’ perché Filadelfio, nonostante avesse chiare radici siciliane –credo dalle parti di San Fratello (ME) come un altro e ben più famoso socialista – delle montagne nostre aveva acquisito tempra e spirito, un po’ perché in quel modo di dire c’è la parola “avanti”, che per i socialisti aveva, e per molti ha ancora, un suono e un significato particolari.
Il dott. Manasseri, uno dei pochi medici all’epoca abilitato all’esercizio della professione anche negli USA effettivamente “avanti” ci stava spesso, incappando anche in scivoloni clamorosi al limite di un candore che la malizia, di ordinanza in politica, non perdona e anzi strumentalizza in una lotta che è sempre senza esclusione di colpi, anche quando non è necessario o non ha un obiettivo preciso.
Indimenticabile il suo “assalto” ai cancelli del Consiglio Regionale per le rivendicazioni riguardo la istituzione della Provincia di Sulmona o il suo grande impegno nella Protezione Civile nazionale.
Dopo il suo mandato da assessore continuò a interessarsi attivamente di politiche di prevenzione, soprattutto in relazione agli eventi sismici visto anche il dramma aquilano del 2009.
Delfio, come si riferiscono tutt’ora a lui i suoi amici, era un “celestiniano” di fatto per via del suo rapporto insofferente verso certi modi di gestire il potere, per il senso profondo del servizio sia come medico, sia in veste di amministratore.
Era così e gli volevi bene anche per questo. Per i suoi modi a volte bizzarri e per l’irruenza sopra le righe e a volte superflua che sconcertava gli interlocutori e che denunciava platealmente il carattere sanguigno, tipicamente meridionale, quando riemergeva periodicamente dalla doppia elica del suo DNA.
Oggi sono dieci anni che se n’è andato. Per un cancro di cui, considerato l’ottimo medico che era, per qualche ragione forse non riuscì ad accettare nella sua tragica evidenza.
Da qualche anno i nostri rapporti si erano allentati, da strettissimi che erano al punto che ancora oggi ricordo a memoria il suo numero di cellulare. Il caso aveva voluto che qualche anno prima mi fossi trasferito proprio nella sua terra d’origine.
Come tutte le persone di grande intelligenza, aveva sfumature quasi autistiche in certi comportamenti e atteggiamenti mono maniacali, una passione sviscerata per la sua professione che se la batteva alla pari con quella per la politica e per Sulmona.
Tanto da mettere in ombra e, inevitabilmente in secondo piano, gli aspetti più personali e familiari di che la maggior parte di noi, incluso il sottoscritto e nonostante l’assidua frequentazione, sostanzialmente ingnorava.
Resta indimenticabile la sua candidatura, in quanto allora segretario del PSI sulmonese, a consigliere comunale nel 1993, nel pieno della tempesta di Mani Pulite che travolse i socialisti. Venne eletto con oltre mille voti col nuovo sistema elettorale che prevedeva una sola preferenza. Risultato mai più superato da nessuno, anche da quando è stata introdotta la doppia preferenza di genere.
Una delle ultime volte che ci ho parlato, forse per via della grande empatia che c’era tra noi, fui investito dalla sensazione che la sua lotta fosse al termine. Lui dovette percepirlo e si sentì in dovere di lanciarmi segnali di ottimismo.
Guardando Sulmona oggi confesso che la sua assenza mi pesa, anche se non so come avrebbe reagito di fronte ad uno scenario così desolante. Certo non con le mani in mano.
Purtroppo, il fatto di essere stato suo amico e compagno avventure politiche accresce solo il rimpianto di una perdita prematura. Ma il senso della vita forse sta anche in questo, nel dovere di ricordare, da parte di chi resta, valori, idee e sogni di chi ci ha preceduto.
Per quel poco, naturalmente, che i nostri personali limiti ci permettono di fare.