Perdonanza 2023 esagerata. Ma lo spirito di Celestino?

C’è di troppo e di tutto nella fastosa edizione della Perdonanza aquilana 2023, ma lo spirito di Celestino V è passato in secondo piano nonostante gli ...
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C’è di troppo e di tutto nella fastosa edizione della Perdonanza aquilana 2023, ma lo spirito di Celestino V è passato in secondo piano nonostante gli sforzi.

Sarà che quelli come noi, abituati a un altro tipo di celebrazioni infinitamente più povere e intimamente sentite, di fronte ad un simile dispendio di denaro e di energie nel nome di una figura come quella di Pietro Angelerio detto “del Morrone” restano piuttosto perplessi.

Non dico abbagliati come animali selvatici illuminati all’improvviso dai fari di una macchina di passaggio, ma certamente un poco frastornati da tanto sfarzo, dalle passerelle e dalle esibizioni di artisti celebri.

Personaggi spesso spaesati e balbettanti al momento di rispondere alle interviste di qualche giornalista che chiede loro di esprimere un pensiero sul significato di tutto questo.

Al Bano in concerto alla Pedonanza
Un momento del concerto di Al Bano davanti a Collemaggio

Da Albano Carrisi ai Coma Cose a Paola Turci è stato encomiabile lo sforzo di non sfigurare platealmente dando a intendere ai telespettatori di aver a malapena compreso il perché di tutta questa fiera e il significato del lascito di Pietro Celestino agli aquilani, ovvero la “Bolla del Perdono” che viene presentata come la prova documentale del “Primo Giubileo” della storia.

Ci può stare, accettando una interpretazione molto estensiva, per offrire suggestioni al pubblico e per giustificare lo sfarzo, altrimenti inconcepibile, commisurato all’eccezionalità attribuita ad un fatto storico di straordinaria importanza.

Se fosse realmente così come i cugini aquilani hanno deciso di rappresentarla per intercettare l’attenzione di cittadini/spettatori attenti come sempre più all’abito che al monaco.

Ma non è questo il punto. Infatti, che l’aggettivo prevalente a fianco del nome “Perdonanza” sia diventato “aquilana” quasi a ribadirne una (legittima) paternità, un poco ne rivela la mutazione.

Riducendo l’impegnativo riferimento al santo a favore di un meno impegnativo collegamento al nome della città, diminuisce anche la portata del “misfatto” commesso ai danni del senso originario del tutto.

Non è per amor di polemica

Con ciò, a scanso di qualsiasi fraintendimento, non esiste la minima intenzione da parte nostra di dare la stura ad una polemica che sarebbe subito e malignamente ridotta ad una faccenda di campanile per sminuire una riflessione schietta e scevra da ogni dietrologia.

Tuttavia per coloro – e sono tanti, statene certi – che restano sensibili e legati al senso dell’eredità di Pietro Celestino, la Perdonanza aquilana un qualche senso di disagio pure lo produce.

Nulla da eccepire se i cugini aquilani la intendono come una sorta di Madonna della Libera on steroids o se intendono competere con altri grandi eventi d’ispirazione religiosa come il Festino di Santa Rosalia a Palermo, il retroterra culturale è il medesimo: quello del Regno delle Due Sicilie.

I santi patroni sono sempre stati occasione di fiere e mercati, quindi occasione di feste, musiche e danze. Diciamo che a L’Aquila, una festa patronale dimensionata alle aspirazioni di grandeur del suo ruolo di capoluogo di regione e di città proiettata nella scena nazionale mancava.

A L’Aquila mancava un evento “clou”

Non c’era un evento “nobile” tipo Palio di Siena e il “Corteo della Bolla” non è paragonabile per bellezza e maestria nei costumi e nelle scenografie alla Giostra Cavalleresca della sorella-rivale Sulmona.

L’evento, riesumato in chiave moderna dal sindaco De Rubeis nel 1983, a distanza di quattro anni dalla nascita della scintilla ispiratrice de il “Fuoco del Morrone”, conteneva in nuce questa intuizione.

Però è innegabile che l’attenzione e la montagna di risorse connesse al tragico sisma del 2009 unite alla sacrosanta voglia di riscatto e rinascita della città scaturita da quel disastro, hanno prodotto quel che vediamo in questi giorni.

Ha prodotto anche altro, ci mancherebbe, basta leggere il riconoscimento UNESCO.

In tutte le faccende umane esistono luci e ombre: affianco agli effetti speciali dei mega eventi c’è stato un fiorire di iniziative legate a Celestino.

Alcune condivisibili, altre meno perché sfacciatamente “aquilanocentriche” e disinvoltamente forzate riguardo una sorta di “appropriazione indebita” della figura di Celestino V.

Penso ad esempio al docufilm realizzato dalla regista Cinzia Th Torrini, nota per la famosa fiction Elisa di Rivombrosa più che per produzioni cinematografiche importanti, nel quale la lettura dei fatti storici elìde completamente la morronesità, per non dire sulmonesità, di Celestino.

Però Celestino V prima è stato Pietro da Morrone

Tocca sottolineare, sempre, al punto da diventare una faccenda stucchevole, che Celestino era noto molto prima della festa dell’incoronazione papale come Pietro DA MORRONE, lo scriviamo in maiuscolo e in neretto “da Morrone” perchè era li che viveva e che ha compiuto il suo destino.

Probabilmente il problema di incoerenza della Perdonanza sta proprio qui, nel fatto che per i cugini aquilani sembra quasi che il personaggio esista solo nel momento in cui diventa Celestino V il Papa.

Con tutto il corollario di gloria, prestigio e potere che l’essere pontefice rappresenta da sempre nell’immaginario popolare.

E quindi tutto deve essere commisurato alla magnificenza di chi più o meno inconsciamente aspira a diventare dal tramonto del 28 al tramonto del 29 agosto, tra porte sante e indulgenze plenarie, una sorta di succursale del Vaticano.

Aspirazione che metaforicamente si trasferisce nella pompa di eventi “fuori scala” e decontestualizzati rispetto a un fatto storico che si trasmuta in brand, come altre kermesse di intrattenimento più o meno culturali, più o meno storiche, più o meno religiose sparse per il Paese.

Ma forse sbagliamo noi, che continuiamo a pensare alla Rinuncia come atto esemplare di umiltà e di responsabilità e al Perdono come gesto di riconciliazione tra la gente e per la gente di un uomo profondo e semplice, invece che a un presupposto per fantasmagoriche sagre nazionalpopolari modello Festivalbar.

Il “miracolo laico” della Bolla e del Giubileo di Celestino meritano di essere celebrati e ricordati degnamente, senza alcun dubbio.

Magari anche destinando parte di quei denari a imprese più benefiche, unendo almeno il circensem, che pure serve, a quel panem che a molti, a troppi ancora manca.

Pietro Celestino apprezzerebbe senza dubbio.

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