Se passa “La Livella”. In ricordo di Anita, Marco e Valter.

Oggi Valter Colasante, qualche giorno addietro Marco Del Rosso e prima ancora Anita Leombruni. Nemmeno il tempo di asciugare le lacrime e cominciare a lenire il dolore di una scomparsa ...
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Oggi Valter Colasante, qualche giorno addietro Marco Del Rosso e prima ancora Anita Leombruni. Nemmeno il tempo di asciugare le lacrime e cominciare a lenire il dolore di una scomparsa prematura e, subito, la crudezza di un altro lutto altrettanto triste per la nostra città.

Sono andate via persone che, per ragioni diverse, lasciano vuoti affettivi per famiglie e amici, vuoti nella cultura e nella società sulmonese, peligna e, per molti, versi in quella dell’intera regione.

Ciascuno di essi ha lasciato una impronta che ha reso migliore la nostra collettività tracciando, ognuno a suo modo, il segno inconfondibile che quando si manifesta rende grande l’umanità e rende giustizia alle sue caratteristiche migliori.

Infatti “Sono sempre i migliori che se ne vanno”: è con questa frase ricorrente che la retorica buonista e spesso ipocrita delle nostre convenzioni sociali tende a rendere omaggio anche a chi spesso non lo merita.

È un modo per esorcizzare la morte, la “livella” omaggiata da Totò a cui tutti dobbiamo inchinarci prima o poi.

Però nel caso di Anita, Marco e Walter, per quanto ovviamente non immuni dai difetti che ognuno si porta appresso, quella frase non è del tutto inappropriata.

Ciascuno di loro è stato un riferimento e, perseguendo le proprie convinzioni, cercando di mettere in pratica i propri valori, ha influito, forse inconsapevolmente nella vita di molti.

La sensibilità di Anita per il pianeta e la natura, l’incontenibile e creativa passione di Walter per la musica, la filosofica empatia e la “humanitas” di Marco sono note a tutti, ma in realtà non sono caratteristiche esclusive.

Ciò che le ha rese tali in loro erano le loro peculiarità, le loro irripetibili individualità.

È questa percezione, più o meno inconscia, che rende la loro scomparsa davvero difficile da accettare, ancora di più perché ne avvertiamo la privazione, quasi contemporanea, come una sorta di monito, di castigo comminato a noi tutti da un destino il cui cinismo lascia senza fiato e senza risposte alle domande sul senso di tutto questo.

C’è chi risolve con la fede, chi risolve con l’anestetizzante fatalismo, chi invece individua qualche segnale e pensa che il messaggio da cogliere in certe manifestazioni del fato sta nel senso che le persone scomparse hanno voluto dare alla loro esistenza, perché il loro lavorio di “essere umani” nel significato più pieno del termine ha dato a tutti quelli che li hanno incontrati qualcosa che si porteranno dietro e, forse, senza nemmeno accorgersene farà maturare nuovi e magari migliori frutti.

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