Trasfigurazioni. Una mostra e un risarcimento fatto di bellezza .

La mostra "Trasfigurazioni" presso l'abbazia di Santo Spirito a Morrone non è solo un'esposizione artistica, ma un risarcimento di bellezza per una struttura ...
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Trasfigurazioni. Una mostra e un risarcimento fatto di bellezza . cover

Si intitola Trasfigurazioni la mostra che da qualche settimana è stata allestita nella sala del refettorio dell’abbazia celestiniana di Santo Spirito a Morrone.

Curata dalla storica dell’arte Laura Salerno e da Giovanni Gardini, direttore della prestigiosa “Raccolta Lercaro” di Bologna, all’iniziativa ha fortemente creduto la Direzione Regionale dei Musei d’Abruzzo nelle persone di Massimo Sericola, direttore regionale, e di Emanuele Cavallini, direttore di Badia e San Clemente a Casauria.

La sera del 22 novembre, nella maestosa chiesa abbaziale, c’è stato un incontro con i curatori e con gli artisti in esposizione, Marco De Luca e il gruppo CaCO3 per presentare il catalogo realizzato per l’occasione e per condividere con i numerosi partecipanti lo spirito di questo progetto.

Mettendo da parte i meritati complimenti per una iniziativa che, per la prima volta, riesce a far percepire quale può essere una delle vocazioni per un ri-uso “decente” di una struttura che è forse la più maestosa della regione, la mostra innanzitutto offre concretamente la visione di una bellezza possibile.

Le ragioni principali della sostanziale rimozione del complesso abbaziale più grande del Centro Sud dalla percezione collettiva sono legate alla sua storia. Che in qualche modo ha una affinità col destino del personaggio storico da cui tutto è nato.

È stato come se quel clamoroso e acclarato falso storico del “Gran Rifiuto” attribuito al Papa Celestino avesse segnato con una specie di iattura anche le sorti di quanto da lui e dal suo ordine era stato costruito e creato nel tempo.

E nulla poteva essere peggio dell’aver poi adibito a carcere un monumento di enorme valore storico e artistico, mortificandone irrimediabilmente l’immagine.

Trasformando il “genius loci” di luogo di spiritualità, storia, cultura, arte e bellezza a tetro contenitore di tutto quanto è di ciò il contrario: punizione, sofferenza, disumanità, ignoranza, emarginazione, rovina.

Avendo letto qualche libro di un filosofo moderno che si chiamava Michel Foucault (che non è quello del “Pendolo” di Umberto Eco che non c’entra nulla) ce n’era uno in particolare “Sorvegliare e Punire” nel quale il pensatore francese descriveva origine e funzione del sistema punitivo ai fini del funzionamento della società.

Si incentrava, quindi, soprattutto sulla nascita del carcere come istituzione e rimanendo particolarmente impresso nella mia mente che, inevitabilmente, l’associava a quella Badia, conosciuta da tutti gli abitanti del circondario come “IL carcere”.

Perciò mai pensandolo razionalmente come monumento o come opera d’arte. Perfino quando mi capitò, giovanissimo, di lavorare d’estate per la ditta che forniva il “sopravvitto” ai detenuti e avendo la possibilità di vedere almeno il bellissimo cortile e la facciata barocca in pietra della Maiella.

La teoria di Foucault (Michel) si è rivelata a posteriori come completamente fondata e condivisibile, proprio perché rappresentata simbolicamente e fisicamente dall’abbazia cui la funzione attribuita ne muta anche l’immagine mentale sovrapponendo all’idea del monastero, anch’esso istituzione funzionale alla segregazione e separazione volontaria – ma virtuosa dalla società perché in nome della fede – quella della prigione strumento di isolamento e allontanamento punitivo dalla maggioranza.

Quest’ultima identità – insieme alla sostanziale cancellazione del culto di Pietro Celestino, che è restato per secoli in maniera residuale, come testimonia la chiesa campestre della frazione di Pratola Peligna che ne porta il nome – ha cancellato letteralmente quella originaria nella coscienza delle gente e degli abitanti di Sulmona.

A ciò bisogna aggiungere le vicissitudini e le lungaggini nel restauro intervenuto qualche anno dopo l’acquisizione da parte dell’allora Ministero dei Beni Culturali nel 1996.

Intere generazioni ci sono passate davanti tirando dritto quasi con scaramanzia davanti alle orrende mura di recinzione, aggiunte per rafforzare la sicurezza della struttura e occultandone l’identità vera.

Decidere di abbatterle sarebbe sensato, oltre che un gesto di enorme valore simbolico.

Per questo “Trasfigurazioni” ha assunto un valore che va oltre le intenzioni di chi ha voluto e organizzato la mostra, perché contribuisce a riavvolgere il nastro della storia sfortunata della casa madre dei celestini.

Ritrovare il senso e la storia, il perché della bellezza del luogo è una strada per offrire al monumento e al territorio che lo accoglie una nuova opportunità e un destino diverso. L’abbandono non è inevitabile perché, quando ci si rimboccano le maniche, i risultati prima o poi arrivano.

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