Sarebbe stato contento Padre Quirino se avesse potuto vederli rinascere a nuova vita gli affreschi dell’Eremo e la cappella che li ospita, come è accaduto ieri quando in una affollata sala dell’abbazia di Santo Spirito a Morrone è stato presentato il lavoro di restauro.
Era il 2020 quando il gruppo FAI di Sulmona, con Franca Leone e Milena D’Eramo in testa, ci chiamò per sottoporci l’idea di partecipare al concorso dei Luoghi del Cuore, una specie di referendum nazionale indetto ogni due anni dal Fondo Ambiente Italiano per individuare siti e monumenti “minori” ma di grande valore storico-culturale ma, soprattutto, importanti per le popolazioni anche sul piano emozionale e affettivo.
Ovviamente accogliemmo con entusiasmo l’iniziativa, estesa subito ad altri per formare un comitato cui aderirono Comune di Sulmona, Curia vescovile, Rotary e Lions, il polo scolastico OVIDIO, Archeoclub, Sulmonacinema, e tanti altri a titolo personale. Cito solo alcuni che mi tornano ora in mente: Fabio Maiorano, Raffaele Giannantonio, Andrea Ramunno, Carlo Speranza, Carmine Di Benedetto e Getano D’Amato con i Volontari delle frazioni. Non me ne vogliano gli altri.
Il resto è storia: oltre ventiduemila voti raccolti, sesto posto nazionale assoluto, primo per il luoghi sopra i 600 mt. sul livello del mare, ventimila euro di finanziamento dallo sponsor del FAI, Banca Intesa – San Paolo.
Sono passati intanto 4 anni e una pandemia che ha complicato non poco le cose, insieme a qualche intoppo burocratico, qualche malinteso sull’impiego di altri fondi di altri sponsor “in concorrenza” con i desiderata del FAI, al cantiere per la posa delle reti anti masso.
Fortunatamente c’è stato perfino chi, come Claudio Pagone, veterano dei sentieri di montagna, si è caricato sulle spalle le attrezzature da portare su, oppure chi con diligenza e pazienza ha mandato avanti le “carte” come l’arch. Laura Fontana.
Infatti, alla fine il risultato è arrivato, restituendo alla piccola cappella dell’Eremo una luce nuova e inaspettata che, per chi come me la frequenta da sempre e sempre con la latente amarezza suscitata dall’assistere al graduale degrado – ora scongiurato – è stata davvero una piccola emozione e uno stimolo grande.
Nel senso di perseguire con ancora maggiore determinazione l’idea di fare di quell’area un luogo speciale come merita, consapevole del fatto che insieme si può fare. A dispetto dei troppi anni trascorsi e delle difficoltà, spesso risibili per cui ancora più odiose, che ne hanno rallentato la realizzazione.
Gli affreschi ora sono belli, ma la cosa che li rende bellissimi non è solo l’eccellente lavoro della bravissima restauratrice, Berta Giacomantonio, ma il fatto che si è tratto di un caso di resilienza di una comunità. E la dimostrazione che se l’obiettivo è comune, condiviso e ognuno svolge il proprio ruolo, gli ostacoli si superano, le cose si fanno e, insieme, si cresce.
E si salva la bellezza, che poi salverà noi.