Qualche giorno fa è stata grande la soddisfazione con cui è stata accolta la notizia di L’Aquila Capitale della Cultura. Questo nonostante a Sulmona bruciasse ancora la recente esclusione patita per il medesimo riconoscimento nel 2025.
A dire il vero non sono nemmeno mancate le inevitabili polemiche sul perché e sul percome Sulmona fosse stata esclusa, su come il sindaco dell’Aquila Biondi si fosse pronunciato improvvidamente solo a favore di Pescina, sulle responsabilità e sulle carenze che penalizzarono il centro peligno che pure ha un blasone, o un pedigree se preferite, storico e culturale che il capoluogo di regione può solo sognare.
Infatti, partendo da Ovidio, passando per Pietro da Morrone per arrivare al novecentesco Capograssi, solo per citare i più noti, la caratura non è nemmeno lontanamente paragonabile, come pure non sono paragonabili gli eventi principali dove la Pasqua sulmonese, probabilmente, non ha eguali nel mondo.
Eppure Sulmona è restata a becco asciutto e non poteva essere diversamente, vedendo chi fosse il competitor principale: ovvero la magno-greca Akragas o la mussoliniana Girgenti oggi meglio nota come Agrigento. Si sarebbe capito subito, se solo si fosse riflettuto un attimo sui criteri adottati nelle assegnazioni precedenti, così il boccone sarebbe stato meno amaro.
La trappola in cui si cade sistematicamente, vantando quarti di nobiltà culturale di primissimo ordine, è il cullarsi in un passato dove affondano radici che danno poco frutto, perchè la loro celebrazione è spesso fine a se stessa e non è in grado di competere con realtà più innovative. Specie se ci si paragona a una città che, bene o male, ha anche una consolidata e vivace realtà universitaria.
Però è andata com’è andata, con il rammarico inevitabile e con la solita tentazione autosabotante che da tempo ormai immemorabile connota le vicende e le decisioni, anzi, le indecisioni nostrane conducendo la città ad un punto che con un certo ottimismo potremmo definire morto.
Tuttavia sarebbe oltremodo stupido buttare via il bambino con l’acqua sporca. Nel senso che nella relazione presentata dal comitato promotore di Sulmona qualcosa di buono c’è sicuramente. Non sarebbe sbagliato dare una rispolverata per capire cosa ed, eventualmente, sollecitare l’interessamento degli aquilani. Cosa che, se fatta nei modi giusti, non può restare ignorata, per varie ragioni.
La prima è che il curatore del dossier che ha portato L’Aquila ad avere il riconoscimento è Alessandro Crociata, indiscutibilmente sulmonese e quindi, salvo clamorose smentite, in grado di indicare cosa può riguardare Sulmona che non sia un contentino e sia fungibile nella logica del progetto aquilano. Anche per smentire la proverbiale avarizia del capoluogo di regione verso il suo territorio provinciale.
La seconda, scusandomi per la palese partigianeria ma si tratta di un fatto evidente, è che un filo che lega innegabimente le due città è rappresentato soprattutto da Pietro Celestino V, la cui storia peraltro è contrassegnata da azioni tese ad unire le comunità e a inventare modi per migliorarne le condizioni di vita. Un po’ come si legge tra le righe del progetto dell’Aquila e non si interpreta in maniera letterale il concetto di multiverso che tanto affascina certa stampa, forse vittima di mode e correnti di pensiero legate a realtà virtuali.
La terza, e certo la più importante, è che il sulmonese Mimmo Taglieri, sarà al vertice della Fondazione Carispaq fino alle soglie del 2026, per cui poterbbe svolgere, se adeguatamente coinvolto, un ruolo di moral suasion presso l’amministrazione aquilana.
I cugini aquilani lo sanno bene, sta a noi e all’amministrazione comunale nello specifico (e, sarebbe opportuno, ai locali neo eletti o eligendi in consiglio regionale), avviare subito un dialogo con una proposta precisa per inseririci nel quadro di iniziative per la Capitale della Cultura 2026 ma anche per il Guibileo che, guarda caso, bussa alle porte del 2025.
Non si accettano scuse.