L’idea di una “pax celestinianorum”, di una tregua nella città di Pietro Celestino sarebbe un mesaggio forte, non solo per i cittadini di Sulmona.
L’ennesima crisi e il probabile ennesimo commissariamento del comune di Sulmona di fronte ai venti di guerra che stanno devastando l’Ucraina e Medio Oriente sembra una insulsa minestra riscaldata, l’ennesima replica di un copione stantio che si ripete periodicamente immutato.
Un problema che, paragonato agli eventi catastrofici patiti dalle popolazioni ucraine, israeliane e palestinesi, appare solo come un effetto collaterale del tracollo sociale, prima che politico o culturale di una collettività.
Una questione legata a ragionamenti e idee certamente legittime degli attori in campo ma, altrettanto certamente, risibili quando le caliamo nel contesto di bollettini quotidiani dai quali registriamo notizie di una gravità tale da provocare, è notizia riportata dalla stampa nazionale in questi giorni, un aumento esponenziale dei consumi di farmaci legati ad ansia e depressione.
Situazione che, se declassa i pur serissimi problemi locali a faccenduole secondarie quando paragonate ai drammi in atto, figuriamoci cosa può far diventare le ragioni della crisi che si sta consumando al comune agli occhi dei cittadini.
Simili diatribe in tempi di bonaccia potevano anche essere tollerate, ma diventano per forza di cose incomprensibili e stonate alle orecchie dei tantissimi elettori ai quali riesce praticamente impossibile sintonizzarsi sulle ragioni di contrasto tra gli eletti al consiglio comunale.
Sulmona non è più da tempo l’ombelico d’Abruzzo, ma il centro di una tempesta perfetta, alimentata da vari fattori che la accomunano ad altre realtà del Paese, soprattutto al Sud, come spopolamento, invecchiamento della popolazione, impoverimento, moria della piccola imprenditoria e del commercio, pesante contrazione dei servizi sanitari e socio-assistenziali. Fattori che da noi assumono tratti realmente inquietanti. E non da oggi.
Questa collettività, se possiamo ancora chiamarla così, considerato il martirio a cui da lustri è stata sottoposta dai troppi individualismi politico-elettorali accompagnati da inadeguatezze evidenziatesi in maniera a volte clamorosa, è perennemente in conflitto con se stessa e per questo in balia di influenze ed interessi che risiedono ben oltre i confini della vallata.
E in un’ora così grave per il mondo, Sulmona rischia di ricevere il colpo finale e negare definitivamente un futuro ai nostri incolpevoli eredi, condannati a un destino la cui unica certezza diventa, come agli inizi del Novecento e nel dopoguerra, l’emigrazione. Perfino per i figli di chi, solo qualche anno fa, nonostante pregiudizi ed ostilità, è venuto qui da immigrato a portare un po’ di sangue nuovo in una realtà invecchiata male.
Quindi ora più che mai servono costruttori di pace, nel grande e nel piccolo, magari prendendo esempio da un vecchio e saggio eremita che, diventato papa, consapevole dei propri limiti, scelse di rinunciare alla mitra pontificale pur di scongiurare una crisi fatale per la chiesa dell’epoca.
Lui fece del perdono la sua bandiera e con quella rinucia, ebbe l’enorme coraggio di dire SI, anche a discapito della sua persona e nel nome di un interesse più grande.
L’auspicio è che quegli estimatori di Celestino, che pure siedono in consiglio comunale, si facciano portatori di pacificazione per il bene della città.
Oggi l’unica cosa che ha senso è ritrovare il senso della realtà e non della “convenienza” politica in vista delle imminenti elezioni regionali, cercando di far tornare Sulmona ad essere una collettività solidale e unita, guidandola tra le secche di un momento storico drammatico davvero.
Cosa che un commissario prefettizio certamente non può fare.
Cullarsi ancora in scambi di accuse reciproche sempre più surreali, anche fuori tema rispetto alle funzioni di una amministrazione comunale, ha condotto in un vicolo cieco da cui tutti vorrebbero uscire ma non sanno come fare retromarcia.
Anche perché, se il sindaco Di Piero non dovesse ritirare le sue celestiniane e già rassegnate dimissioni, non si intravede all’orizzonte un cardinale Caetani in grado di diventare Bonifacio VIII, né una futura papessa celata sotto altre spoglie.